Indice dei contenuti
- Che cos’è il diritto all’oblio
- Diritto all’oblio e GDPR
- L’origine giurisprudenziale: il caso Google Spain
- Come esercitare il diritto all’oblio
- Il bilanciamento con l’interesse pubblico
- Diritto all’oblio e motori di ricerca
- I limiti e le criticità applicative
Il diritto all’oblio rappresenta una delle sfide più complesse e discusse nel campo della protezione dei dati personali.
Il diritto all’oblio è la possibilità per un individuo di ottenere la cancellazione dei dati personali che lo riguardano, quando questi non sono più necessari rispetto alle finalità per cui sono stati raccolti o trattati. Si tratta di un diritto profondamente legato alla dignità, alla riservatezza e alla libertà dell’individuo, ma anche di un tema che deve confrontarsi con altri valori fondamentali, come il pubblico interesse di ricerca, la libertà di espressione e il diritto all’informazione.
In questo articolo analizziamo che cos’è il diritto all’oblio, come si esercita, quali limiti incontra secondo il GDPR, e in che modo trova equilibrio tra diritto alla cancellazione e interessi pubblici.
Che cos’è il diritto all’oblio
Il diritto all’oblio non è un concetto nuovo: nasce prima ancora di Internet, come espressione della possibilità per ogni individuo di non essere eternamente legato a fatti del passato. Tuttavia, con la digitalizzazione e la diffusione dei motori di ricerca, ha assunto un significato radicalmente diverso.
Oggi, quando parliamo di diritto all’oblio cos’è, ci riferiamo al diritto di un soggetto a ottenere la cancellazione dei dati personali che non hanno più ragione di essere diffusi o archiviati. Il riferimento normativo principale è l’articolo 17 del Regolamento (UE) 2016/679, meglio noto come GDPR (General Data Protection Regulation), che definisce il diritto alla cancellazione (“diritto all’oblio”) come il potere dell’interessato di chiedere al titolare del trattamentodi eliminare i propri dati personali, e l’obbligo per quest’ultimo di farlo senza ingiustificato ritardo.
In pratica, se i dati non sono più necessari, sono stati trattati illecitamente o l’interessato ha revocato il consenso al loro uso, può richiederne la rimozione.
Diritto all’oblio e GDPR
Il diritto all’oblio e GDPR sono strettamente collegati. Il Regolamento europeo, infatti, ne regola l’esercizio e ne stabilisce i limiti.
Secondo l’art. 17, il diritto all’oblio può essere esercitato quando ricorrono alcune condizioni:
- i dati non sono più necessari rispetto alle finalità per cui sono stati raccolti;
- l’interessato revoca il consenso e non esiste altra base giuridica per il trattamento;
- i dati sono stati trattati illecitamente;
- i dati devono essere cancellati per adempiere a un obbligo legale previsto dallo stato membro o dal diritto dell’Unione;
- i dati sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione a minori.
Il titolare del trattamento ha quindi il dovere di intervenire, cancellando o anonimizzando le informazioni non più pertinenti. Tuttavia, il GDPR prevede anche alcune eccezioni: la cancellazione può essere negata quando i dati sono necessari per l’esercizio del diritto in sede giudiziaria, per la difesa di un diritto, per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, per fini di archiviazione nel pubblico interesse, interesse di ricerca scientifica o statistica, oppure per il pubblico interesse di ricerca storica.
L’origine giurisprudenziale: il caso Google Spain
Il diritto all’oblio è stato riconosciuto per la prima volta in modo chiaro con la storica sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 13 maggio 2014, nel caso Google Spain SL e Google Inc. contro Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) e Mario Costeja González.
Il cittadino spagnolo aveva chiesto a Google di rimuovere dai risultati di ricerca un link a un vecchio articolo di giornale che menzionava una procedura di pignoramento nei suoi confronti, ormai risolta da anni. La Corte riconobbe che l’interessato aveva diritto a che quelle informazioni non fossero più accessibili al grande pubblico tramite il motore di ricerca, poiché non erano più necessarie rispetto alle finalità originarie della pubblicazione.
Da allora, il diritto all’oblio è entrato a pieno titolo nel panorama giuridico europeo, diventando una pietra miliare della protezione dei dati personali online.
Come esercitare il diritto all’oblio
L’esercizio del diritto all’oblio può avvenire in modo diretto o tramite autorità competenti.
L’interessato può inviare una richiesta al titolare del trattamento o ai responsabili del trattamento, chiedendo la cancellazione dei dati personali che lo riguardano. Tale richiesta deve contenere elementi chiari: l’identità del richiedente, l’indicazione dei dati da eliminare e la motivazione della richiesta.
Il titolare deve rispondere senza ingiustificato ritardo, e comunque entro un mese, indicando le azioni intraprese o le motivazioni per cui la cancellazione non è possibile. In caso di mancata risposta o di rifiuto, l’interessato può rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali o adire le vie legali per ottenere tutela.
Le grandi piattaforme, come Google, Facebook o LinkedIn, hanno predisposto moduli online specifici per richiedere la rimozione di risultati di ricerca che violano il diritto all’oblio, previa valutazione del pubblico interesse alla loro permanenza online.
Il bilanciamento con l’interesse pubblico
Uno degli aspetti più delicati del diritto all’oblio è il suo rapporto con l’interesse pubblico e la libertà di informazione.
Non tutte le informazioni possono essere cancellate, anche se scomode o dannose per l’interessato. In particolare, il diritto all’oblio incontra dei limiti quando i dati riguardano figure pubbliche, soggetti coinvolti in vicende di rilevanza sociale, o quando prevalgono motivi di interesse pubblico nel mantenimento della notizia.
Esempio
Nel settore della sanità pubblica, il diritto all’oblio può essere limitato se la conservazione dei dati è necessaria per la tutela collettiva, così come nel caso di ricerche accademiche o statistiche, dove prevale l’interesse di ricerca scientifica o l’archiviazione nel pubblico interesse.
L’interpretazione del concetto di “pubblico interesse” è spesso affidata ai giudici o alle autorità di controllo, che valutano caso per caso se la cancellazione sia compatibile con la funzione informativa della notizia.
Diritto all’oblio e motori di ricerca
Nell’era digitale, la memoria di Internet è virtualmente infinita. I motori di ricerca amplificano la diffusione dei dati, rendendoli accessibili anche molti anni dopo la loro pubblicazione.
Per questo motivo, il diritto all’oblio assume un ruolo cruciale: non cancella la notizia originale (che può restare pubblicata), ma rimuove i collegamenti diretti che la rendono facilmente reperibile tramite una semplice ricerca nominale.
In altre parole, non si riscrive la storia, ma si limita la visibilità di informazioni che non hanno più interesse pubblico. È un compromesso tra memoria collettiva e diritto individuale alla riservatezza.
I limiti e le criticità applicative
Nonostante il valore etico e giuridico del diritto all’oblio, la sua applicazione pratica non è priva di ostacoli.
Tra i principali problemi si segnalano:
- la difficoltà di stabilire quando un dato non sia più “necessario rispetto alle finalità”;
- la complessità di coordinare le normative tra uno stato membro e l’altro;
- la natura globale di Internet, che rende difficile garantire la cancellazione effettiva dei contenuti a livello mondiale;
- i conflitti con la libertà di stampa e di informazione;
- la persistenza dei dati su archivi digitali, copie cache o siti mirror.
Per questo motivo, l’esercizio del diritto all’oblio richiede una valutazione equilibrata e il supporto di esperti in protezione dei dati personali, capaci di gestire il dialogo con i titolari del trattamento e le autorità competenti.