Indice dei contenuti
- Un nuovo fronte nella cyber-guerra tra superpotenze
- Infrastrutture sotto attacco: energia, trasporti e ricerca nel mirino
- Il coinvolgimento accademico: università americane nel mirino
- La risposta diplomatica della Cina
- Tra accuse e silenzi: cosa aspettarsi ora?
Un nuovo fronte nella cyber-guerra tra superpotenze
La tensione tra Cina e Stati Uniti si è arricchita di un nuovo capitolo ad alta intensità digitale.
Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Xinhua, Pechino accusa apertamente la National Security Agency (NSA) statunitense di aver orchestrato attacchi informatici avanzati contro obiettivi strategici cinesi, inclusi i Giochi asiatici invernali e colossi dell’hi-tech come Huawei.
Le indagini, condotte dalla polizia della città di Harbin, avrebbero portato all’identificazione di tre presunti agenti NSA, Katheryn A. Wilson, Robert J. Snelling e Stephen W. Johnson, ritenuti responsabili di ripetute violazioni delle infrastrutture informatiche critiche del Paese asiatico.
Infrastrutture sotto attacco: energia, trasporti e ricerca nel mirino
Secondo Pechino, gli attacchi informatici non si sono limitati a eventi sportivi, ma avrebbero colpito settori vitali per la sicurezza nazionale: energia, trasporti, comunicazioni, gestione idrica e ricerca militare.
In particolare, la provincia di Heilongjiang, strategicamente importante nel nord-est del Paese, sarebbe stata bersaglio privilegiato degli hacker affiliati all’intelligence americana.
Gli obiettivi sarebbero stati chiari: rubare dati riservati, creare disordine sociale e indebolire l’infrastruttura tecnologica della Cina. Le accuse parlano anche del tentativo di accedere a informazioni sensibili sul personale coinvolto nell’organizzazione dei Giochi asiatici.
Il coinvolgimento accademico: università americane nel mirino
La questione assume contorni ancora più delicati quando viene citato il presunto coinvolgimento di due istituzioni accademiche americane: l’Università della California e Virginia Tech. Sebbene non siano stati forniti dettagli precisi, le autorità cinesi ipotizzano che anche questi enti abbiano contribuito, in qualche modo, alla campagna di spionaggio cibernetico.
Non è la prima volta che il mondo accademico viene tirato in ballo in scenari di cyber intelligence: i centri di ricerca, con la loro tecnologia avanzata, rappresentano spesso snodi strategici per operazioni sotto copertura.
La risposta diplomatica della Cina
Pechino non ha perso tempo a formalizzare la propria protesta. Durante un briefing con la stampa, il portavoce del Ministero degli Esteri, Lin Jian, ha sottolineato come la Cina abbia espresso le sue preoccupazioni agli Stati Uniti attraverso canali diplomatici ufficiali, esortando Washington ad adottare un atteggiamento responsabile in materia di sicurezza informatica.
“Chiediamo agli Stati Uniti di smettere di diffamare e attaccare la Cina senza motivo,” ha dichiarato Lin Jian, tracciando una linea netta tra le azioni accusate e il clima internazionale di crescente ostilità nel cyberspazio.
Tra accuse e silenzi: cosa aspettarsi ora?
Questa nuova denuncia da parte di Pechino potrebbe alimentare ulteriormente il confronto tra i due colossi mondiali sul fronte della cyber-sicurezza.
Mentre la Cina cerca di rafforzare la propria sovranità digitale, gli Stati Uniti, spesso accusatori e oggi accusati, non hanno ancora rilasciato una risposta ufficiale alle dichiarazioni cinesi.
La verità, come spesso accade nel cyberconflitto internazionale, rimane opaca e difficile da dimostrare. Ma una cosa è certa: la guerra cibernetica non si combatte più soltanto con virus e codici, ma anche con narrative geopolitiche, accuse incrociate e scontri diplomatici.