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La finta email che fa tremare Washington: sospetti su hacker cinesi

Un attacco di cyber-spionaggio attribuito al gruppo hacker APT41, sospettato di agire per conto della Cina

La finta email che fa tremare Washington: sospetti su hacker cinesi

Indice dei contenuti

  • Un attacco che scuote Washington
  • La finta email di John Moolenaar
  • Le accuse contro APT41
  • La risposta del Congresso
  • Il silenzio della Cina e il ruolo dell’FBI

Un attacco che scuote Washington

Un’email trappola apparentemente firmata da un deputato repubblicano ha scatenato allarme negli Stati Uniti. Secondo il Wall Street Journal, si tratta di una sofisticata operazione di cyber-spionaggio volta a sottrarre segreti strategici americani e potenzialmente a influenzare gli equilibri diplomatici con la Cina.

La finta email di John Moolenaar

Il messaggio, diffuso a luglio a studi legali, agenzie governative e gruppi commerciali, invitava i destinatari a commentare una proposta di legge. Ma l’allegato conteneva un malware che avrebbe potuto aprire le porte ai sistemi informatici sensibili.

L’email era stata firmata digitalmente come se provenisse dal deputato John Moolenaar, noto per la sua attività contro le minacce provenienti da Pechino.

Le accuse contro APT41

Gli inquirenti sospettano il gruppo hacker APT41, già indicato in passato come vicino ai servizi di intelligence cinesi. L’attacco, emerso poco prima di colloqui commerciali tra Washington e Pechino in Svezia, viene letto come un segnale preciso della volontà di Pechino di monitorare e anticipare le mosse americane.

La risposta del Congresso

Il deputato Moolenaar, presidente di una commissione sul confronto strategico USA-Cina, ha denunciato l’episodio come “l’ennesimo esempio delle operazioni informatiche aggressive della Cina”. Ha aggiunto: “Non ci lasceremo intimidire”, collegando l’attacco al delicato contesto dei negoziati sui dazi.

Il silenzio della Cina e il ruolo dell’FBI

L’FBI ha confermato di essere al lavoro con i propri partner per individuare i responsabili. Dall’altra parte, l’ambasciata cinese a Washington non ha rilasciato commenti, mantenendo un silenzio che alimenta ulteriori sospetti.

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