Indice dei contenuti
- La decisione che segna un confine chiaro tra creatività umana e algoritmica
- Il caso Thaler contro U.S. Copyright Office
- Perché una macchina non può essere un autore
- L’intelligenza artificiale può essere creativa, ma l’uomo resta al centro
- Il futuro della proprietà intellettuale nell’era dell’intelligenza artificiale
La decisione che segna un confine chiaro tra creatività umana e algoritmica
Il 18 marzo 2025, la Corte d’Appello del Distretto di Columbia ha emesso una sentenza destinata a influenzare il dibattito globale sulla tutela delle opere generate da intelligenza artificiale.
Con un pronunciamento articolato, la Corte ha stabilito che solo un essere umano può essere considerato autore ai sensi del Copyright Act del 1976.
Il verdetto, atteso e in linea con l’orientamento dell’U.S. Copyright Office, fissa un punto fermo nel dibattito sulla proprietà intellettuale in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale sta trasformando il processo creativo.
Anche se non chiude la discussione, segna un limite normativo ben definito: la creatività algoritmica non può godere delle stesse tutele riservate all’ingegno umano.
Il caso Thaler contro U.S. Copyright Office
Al centro della vicenda c’è Stephen Thaler, informatico e creatore della Creativity Machine, un sistema di intelligenza artificiale generativa capace di produrre opere artistiche senza alcun intervento umano. Nel 2019, Thaler ha presentato una richiesta di registrazione per un’opera visiva intitolata “A Recent Entrance to Paradise”, indicando la Creativity Machine come unico autore e rivendicando per sé i diritti d’autore in quanto proprietario del sistema.
L’U.S. Copyright Office ha respinto la domanda, basandosi su una prassi consolidata che esclude la possibilità di riconoscere come autore un’entità non umana.
Dopo aver tentato senza successo di ottenere una revisione amministrativa, Thaler ha portato il caso in tribunale, ma la Corte Distrettuale e, successivamente, la Corte d’Appello hanno confermato il rigetto della sua richiesta.
Perché una macchina non può essere un autore
La Corte d’Appello ha motivato la sua decisione con un’analisi dettagliata del Copyright Act, della sua struttura normativa e della prassi amministrativa.
Il punto chiave è che l’intero sistema del diritto d’autore è costruito attorno alla figura dell’autore umano, come dimostrano diversi aspetti normativi:
- la durata della protezione è legata alla vita dell’autore;
- la legge prevede la successione ereditaria dei diritti;
- la registrazione richiede un atto di volontà creativa, che una macchina non può esprimere;
- i computer sono definiti come strumenti di esecuzione, non come soggetti titolari di diritti.
Inoltre, la Corte ha respinto il tentativo di Thaler di equiparare la Creativity Machine a un dipendente e di applicare la dottrina del work-made-for-hire, che prevede che i datori di lavoro possano detenere i diritti sulle opere dei propri impiegati.
Secondo la sentenza, questa dottrina si applica esclusivamente a esseri umani e non può essere estesa a una macchina.
L’intelligenza artificiale può essere creativa, ma l’uomo resta al centro
Un aspetto interessante della sentenza è che non esclude la protezione di opere in cui l’intelligenza artificiale abbia un ruolo, purché vi sia un contributo umano significativo e dimostrabile. Il caso di Thaler, infatti, riguardava un’opera generata esclusivamente da un sistema algoritmico, senza alcun intervento creativo umano.
La Corte ha lasciato aperta la possibilità che future controversie possano riguardare situazioni più complesse, come l’uso di prompt, la curatela stilistica o la fase di editing da parte di un autore umano. In questo senso, la sentenza non è una condanna definitiva all’uso dell’AI nella creatività, ma una chiara distinzione tra supporto tecnologico e autorialità vera e propria.
Il futuro della proprietà intellettuale nell’era dell’intelligenza artificiale
Con questa sentenza, la Corte ha anche evidenziato che eventuali modifiche al Copyright Act dovrebbero essere discusse e approvate dal Congresso, non dal potere giudiziario. Il tema è già oggetto di studi e dibattiti istituzionali, come dimostrano i recenti documenti prodotti dall’U.S. Copyright Office e dal Bipartisan House Task Force on Artificial Intelligence.
Il verdetto della Corte d’Appello rappresenta quindi un punto di svolta: rafforza il ruolo dell’essere umano nella creazione artistica, ma lascia spazio a future interpretazioni per le opere in cui l’intelligenza artificiale sia uno strumento piuttosto che un soggetto autonomo.
L’evoluzione tecnologica continuerà a sfidare i confini legali della proprietà intellettuale, e il dibattito sull’autorialità nell’era dell’intelligenza artificiale è solo all’inizio.